ATARASSIA

11.02.2023

«Sì, sì ho capito, certo che ho capito, ammiraglio: la responsabilità è mia e mia soltanto. Di chi altri dovrebbe essere? Va bene, va bene, non aggiunga altro: la terrò informato... Tra quanto? Questione di minuti, si tenga pronto.»

L'uomo poggiò con un gesto secco e nervoso la cornetta del telefono sul ricevitore e si passò entrambe le mani tra i capelli castani, che cominciavano a ingrigirsi intorno alle tempie. Abbassò lo sguardo sulla scrivania, per poi rialzarlo a osservare alla sua sinistra una foto incorniciata, che lo ritraeva insieme alla moglie e ai suoi due splendidi bambini su una spiaggia della Toscana: era stata scattata l'estate precedente e alle loro spalle si poteva scorgere il sole tuffarsi nel mare al tramonto. Già, il mare... Come era possibile che qualcosa di così bello, di così puro, di così immenso potesse anche essere la causa di tanto dolore?

Smise di guardare la foto e puntò gli occhi dritto davanti a sé, dove un distinto e anziano signore, in un impeccabile vestito scuro, lo fissava seduto in silenzio: aveva ascoltato tutta la telefonata senza batter ciglio e anche ora sembrava non avesse alcuna intenzione di aprir bocca. Toccava dunque a lui parlare per primo, ma proprio non sapeva da dove cominciare.

Spostò all'indietro la propria sedia e con quattro passi si avvicinò alla finestra, scostando un po' le tende per guardare fuori: era già quasi buio e le prime luci iniziavano a illuminare le strade della Capitale. Il giorno dopo tutto sarebbe stato diverso, tutto sarebbe cambiato.

«Me la ripeta ancora, professore: ne ho bisogno.»

L'anziano signore non si era mosso, seguendolo solo con lo sguardo e continuando a tenere le mani sulla vetusta cartella di cuoio consunto che teneva appoggiata sulle ginocchia.

«Che cosa le dovrei ripetere, signor primo ministro?»

Il suo interlocutore smise di guardare fuori dalla finestra e si girò verso di lui con un sorriso bonario:

« Primo ministro? Perché non mi chiama semplicemente Alberti, come ha sempre fatto fin dai tempi del liceo? Anzi, mi pare di ricordare che una volta si rivolse a me con il mio nome di battesimo...»

«E' vero, ma accadde subito dopo che lei aveva superato l'esame di maturità: non era più un mio allievo e quindi potevo permettermi una maggiore confidenza.»

«Già, mi chiamò Claudio quel giorno, ma sempre dandomi del lei, come aveva fatto fin dal primo giorno di scuola con tutti noi ragazzi del resto: non sa quanto ci pareva strano che qualcuno si rivolgesse a dei sedicenni con il lei. »

«Era un modo per responsabilizzarvi, per farvi crescere più in fretta, e mi pare che almeno nel suo caso abbia funzionato. Ma ora mi dica: cosa le dovrei ripetere?»

Il primo ministro lasciò la finestra e tornò a sedersi dietro la scrivania, appoggiando le spalle allo schienale e le mani sui braccioli:

«Vorrei che lei mi ripetesse la questione dell'atarassia, il fulcro della filosofia stoica.»

«Lei era uno dei miei allievi migliori, una delle menti più brillanti, credo che si ricordi benissimo la materia.»

«Sì, ma ho bisogno di sentirla dalla sua voce, se non le spiace.»

Il professore tirò un lungo respiro, guardandolo con gli occhi di un padre che vede un figlio in difficoltà e che sa di non avere i mezzi per poterlo aiutare, se non con poche parole di conforto. Tolse la borsa di cuoio dalle ginocchia, l'appoggiò ai piedi della sedia alla propria destra e intrecciò le dita delle mani sotto al mento.

«L'atarassia è un termine greco, che significa distacco dai sentimenti. Non va confuso con quella che in Italiano chiamiamo apatia, termine a cui attribuiamo un significato negativo, quasi fosse una sorta di pigrizia. L'apatico insomma è un qualcuno che non è in grado di provare sensazioni. Il saggio che raggiunge l'atarassia invece è colui che per sua libera scelta, e non senza sforzo, decide di distaccarsi dai sentimenti, sia quelli positivi, sia quelli negativi.»

«Ed è una buona cosa questa?» lo interruppe il primo ministro «Voglio dire il decidere di non voler provare sentimenti?»

«Per gli uomini cosiddetti "comuni" forse non lo è; ma per gli uomini di potere direi non solo che lo è, ma che è addirittura un obiettivo imprescindibile da raggiungere. Perché vede, caro Alberti, per fare il bene non solo prima di tutto è necessario conoscerlo, è anche indispensabile essere del tutto razionali e calcolatori. Bisogna, per esempio, avere il sangue freddo di sacrificare una o più vite, se questo dovesse servire a salvarne molte di più. »

L'allievo sapeva bene a cosa si riferisse in quel momento il maestro e lo fissò dritto nei suoi occhi azzurri, soffermandosi a osservare i suoi folti capelli bianchi, pettinati all'indietro, nemmeno uno dei quali in più di trent'anni aveva mai visto fuori posto. Provò a sorprenderlo con una domanda a bruciapelo, di quelle che da studente lui aveva dovuto più volte affrontare:

«Lei ha mai raggiunto l'atarassia, professore?»

L'anziano non parve affatto sorpreso, non si scompose e gli regalò uno dei suoi rari sorrisi.

«Io? E perché mai avrei dovuto? Sono solo un insegnante... Anzi, lo ero: adesso, cedendo alle sue gentili insistenze, ho abbandonato la mia vita da pensionato, per farle da consigliere. Non sono un uomo di potere, come...»

«Come me?»

«Precisamente. Come lei.»

I due uomini si guardarono a lungo in silenzio, cercando di intuire l'uno i pensieri dell'altro. Non ce n'era bisogno, in realtà: si conoscevano da troppo tempo per riuscire a nascondersi qualcosa.

Il primo ministro si alzò dalla sedia e gli allungò la mano per congedarlo.

«La ringrazio, professore. Ora però è meglio che lei se ne vada: la storia deve registrare che lei non era in questo ufficio, quando ho fatto la telefonata che sto per fare.»

Il consigliere si alzò a sua volta, afferrando la cartella di cuoio con la sinistra, per poter stringere con la destra la mano al suo ex studente.

«Sono io che ringrazio lei per questa cortesia, ma, prima che con la storia, so di dover fare i conti con la mia coscienza, e questa mi dice che qualsiasi decisione lei prenderà sarà quella giusta.»

Non aggiunse altro: a una certa età, atarassia o meno, diventa difficile controllare le proprie emozioni e il vecchio sentiva che gli occhi stavano diventando umidi. Si voltò, raggiunse la porta, l'aprì con delicatezza e con lo stesso garbo la richiuse alle proprie spalle.

Il primo ministro, rimasto solo, ripassò nella sua mente la situazione.

Il Paese era sull'orlo della guerra civile. Attentati terroristici e atti di violenza erano all'ordine del giorno e alcune zone del territorio erano ormai del tutto fuori controllo, in mano a bande paramilitari che le gestivano a proprio piacimento. Le forze dell'ordine avevano quasi gettato la spugna e ormai anche l'esercito, pur con il rientro di tutte le missioni all'estero, non pareva in grado di fronteggiare la situazione.

Non aveva scelta.

Sollevò di nuovo la cornetta e ordinò alla propria segretaria di rimetterlo in contatto con il capo di stato maggiore della marina.

«Pronto? Sì, ammiraglio, sono sempre io. Proceda come stabilito.»

Dall'altro capo del filo arrivò una richiesta di conferma.

«Sì, ammiraglio, glielo ho già detto prima e non intendo ripeterlo ancora: mi assumo tutte le responsabilità. Questa conversazione è registrata ed è agli atti.»

Dopo pochi secondi, più di cinquecento miglia più a sud, appena sotto la superficie del mare due scie bianche parallele puntarono veloci verso la fiancata di un peschereccio stracolmo di esseri umani, nessuno dei quali fu in grado di capire cosa stesse per raggiungerli, finché due enormi palle di fuoco non segnarono la fine della loro disperazione.

Il primo ministro rimase con il telefono in mano ad aspettare due parole, "ordine eseguito"; poi, questa volta con una calma e una lentezza surreali, appoggiò la cornetta. Guardò di nuovo la foto della moglie e dei figli e la girò a faccia in giù sul piano della scrivania, prendendosi la testa tra le mani.


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